Le economie occidentali di fronte alla sfida dei colossi asiatici

Il tumultuoso sviluppo di alcuni Paesi emergenti, in particolar modo di Cina e India, pone all’occidente industrializzato problemi inediti e affrontabili positivamente solo con un profondo cambiamento di prospettive. La gran quantità di beni prodotti, a prezzi largamente concorrenziali, che invade i mercati mondiali fa sentire con prepotenza crescente i suoi effetti destabilizzanti sulle economie europee e su quella statunitense. In Italia molte aziende, grandi e piccole, hanno chiuso i battenti o si apprestano a trasferire la produzione nei Paesi dell’Est dove il costo della manodopera è assai inferiore al nostro; le associazioni degli imprenditori chiedono a gran voce misure per la riduzione delle imposte che gravano sul lavoro e i sindacati si mostrano sempre più disponibili a chiudere un occhio su diritti e condizioni di lavoro dei lavoratori pur di salvaguardare l’occupazione.
Di fronte alle dimensioni del fenomeno, tutte queste strategie tradiscono un’ottica di corto respiro, tesa alla sopravvivenza immediata, in grado forse di ritardare o ridurre leggermente gli effetti più devastanti, ma non certo di contrastare efficacemente le componenti essenziali che ne sono all’origine.
La ricerca di soluzioni deve avere come punto di partenza una considerazione fondamentale, dalla quale non è possibile prescindere: è del tutto irrealistico proporsi di competere con i Paesi emergenti sul piano del contenimento dei costi di produzione. E’ irrealistico perché in Cina e in India si pagano i lavoratori 5, o anche 10 volte meno che da noi. In questa prospettiva, pensare di poter risolvere i problemi legati alla concorrenza internazionale con misure, necessariamente molto contenute, di defiscalizzazione del lavoro, o con interventi diretti, in un modo o nell’altro, ad accrescere lo sfruttamento dei lavoratori, si rivela essere poco più che una chimera. La competizione deve invece spostarsi su un piano completamente diverso: quello riguardante la qualità dei beni prodotti e il loro contenuto innovativo.
Ciò significa investire massicciamente su istruzione e formazione, con speciale attenzione all’alta formazione, come pure su ricerca e innovazione. Significa, da una parte, che l’azione politica deve porre al centro della propria attenzione la scuola, di ogni ordine e grado, soprattutto l’università, premiando il merito, favorendo, sì, l’acquisizione di saperi e abilità indispensabili alle moderne professioni, ma anche una mentalità aperta, disponibile al cambiamento e all’aggiornamento continuo. Nello stesso tempo, va incentivata la ricerca a ogni livello: le aziende devono impegnarsi su questo fronte molto più di quanto non abbiano fatto finora; lo Stato deve fare la sua parte con incentivi ben mirati a favore di quelle aziende che riescono a stare sul mercato grazie a un continuo sforzo di innovazione e di miglioramento dei propri prodotti.
Purtroppo, gli investimenti in ricerca, e ancor più nell’istruzione, producono effetti visibili sull’economia di un Paese solo in tempi piuttosto lunghi, di solito dell’ordine di alcuni anni. L’ottica de politici è invece notoriamente assai più breve, mirando ad ottenere risultati (da mostrare ai cittadini per raccogliere consensi) in tempi molto più brevi, che difficilmente vanno al di là di qualche mese. Per questo motivo, indipendentemente dalle loro dichiarazioni, i politici sono in genere poco interessati a investire grandi risorse nell’istruzione e nella ricerca, sottraendole ad altri settori che danno risultati, e quindi visibilità, ben più immediati.
In conclusione, la speranza è riposta nei cittadini - nelle cui mani è affidata la scelta di chi li governerà - che devono prendere coscienza dell’importanza dei settori citati come unica via per uno sviluppo economico durevole. Ciò significa informarsi, ragionare, discutere sull’argomento, così da essere preparati a premiare con il voto quei politici che dimostrino, con iniziative concrete e non con chiacchiere demagogiche, di aver ben compreso l’importanza strategica dell’istruzione e della ricerca per lo sviluppo del proprio Paese.
L’alternativa è un impoverimento progressivo dell’economia, con lavoratori sempre più dequalificati, impegnati ad assemblare componenti tecnologicamente avanzati prodotti da altri, pagati sempre meno e con occupazioni sempre più precarie.