La "grana" della legge elettorale

19-05-2013

Per mesi i partiti hanno cercato di raggiungere un accordo per modificare l’attuale legge elettorale – il cosiddetto Porcellum – senza riuscirci. Da tempo venivano sollevati dubbi sulla costituzionalità di una simile legge che, tra l’altro, non consente ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti da mandare in Parlamento. Ora la Cassazione ha deciso di rinviare alla Consulta ogni decisione in merito.

Era la scossa che ci voleva, per i partiti. Anche se la Consulta impiegherà diversi mesi per esprimere un parere, c’è già una grande fibrillazione: bisogna modificare la legge prima del pronunciamento della Consulta.

Uno degli aspetti più indigesti per i partiti è proprio la questione delle preferenze. Tutti affermano che è necessario ridare centralità ai cittadini nella scelta dei candidati. In realtà, i maggiori partiti – e in prima linea il Partito Democratico – sono fortemente contrari a reintrodurre le preferenze, perché non vogliono rischiare di veder esclusi nomi importanti delle rispettive dirigenze.

E’ un residuo dell’arroganza intollerabile dei partiti, i quali, dietro una facciata di democrazia cercano di mantenere intatti il loro potere e i privilegi dei loro rappresentanti.

Un’altra questione importante da affrontare è la questione del premio di maggioranza. L’attuale legge prevede che, alla Camera, indipendentemente dai voti ottenuti, il partito che raggiunga la maggioranza relativa ottenga automaticamente 340 seggi (circa il 55%). Potrebbe così accadere che, se tra un gran numero di partiti, due di questi ottengano l’uno il 20% e l’altro il 20,01% dei voti, a quest’ultimo venga riconosciuta una maggioranza di 340 seggi (cioè il 55%). Al Senato il meccanismo è analogo, ma funziona su base regionale. Si tratta, in ogni caso di un vero e proprio stravolgimento del voto degli elettori, come ha sottolineato anche la Cassazione.

Riguardo alla questione delle preferenze, personalmente non ho dubbi che debbano essere i cittadini a decidere chi debba rappresentarli in Parlamento. I pretesti addotti dai partiti per non concedere questo diritto sono assolutamente ridicoli. Uno dei preferiti, sostenuto anche dal PD, è che, con le preferenze, si rischia di favorire infiltrazioni mafiose nella politica. Ma, i candidati da sottoporre al giudizio degli elettori non vengono forse scelti dalle segreterie dei partiti? E allora che stupidaggine è mai quella di sventolare il pericolo che le cosche mafiose facciano eleggere candidati a loro graditi? Il pericolo paventato dai partiti è, in realtà, quello che gli elettori lascino fuori qualche nome importante, uno di quelli che “devono” assolutamente venir eletti…

Sul premio di maggioranza, ammesso che sia giustificato mantenerlo, avrei una mia proposta per evitare che il voto dei cittadini venga eccessivamente stravolto. Invece, che una soglia, al di sopra della quale far scattare il premio, come suggeriscono alcuni, io vedrei piuttosto una maggiorazione percentuale per il partito (o la coalizione) che ha ottenuto più voti.

Ho fatto qualche calcolo e sono giunto alla conclusione che, per avere un peso significativo, la maggiorazione dovrebbe essere compresa tra il 40% e il 60%:
- con una maggiorazione del 40%, si raggiungerebbe il 50% con il 35,72% dei voti (occorrerebbe circa il 39,29% per raggiungere il 55% dei seggi);
- con una maggiorazione del 50%, si raggiungerebbe il 50% con il 33,34% dei voti (occorrerebbe circa il 36,67% per raggiungere il 55% dei seggi);
- con una maggiorazione del 60%, si raggiungerebbe il 50% con il 31,25% dei voti (occorrerebbe circa il 34,38% per raggiungere il 55% dei seggi).

Questo tipo di soluzione eviterebbe di fissare una soglia per impedire premi di maggioranza spropositati e non si correrebbe il rischio di consegnare il Paese al partito o alla coalizione che siano risultati primi, pur con un risicato 20% o 25% dei voti, o magari anche meno.


Parole chiave: elezioni politica