Le "bufale" di Matteo Renzi

In chiusura della conferenza del PD a Portici, Matteo Renzi ha rivendicato il ruolo del suo governo nel “portare l’Italia fuori dalla crisi”. Si è anche detto pronto a lavorare “per il bene dell’Italia”, senza porre veti, ma anche senza rinunciare alle proprie idee.
Credo che ce ne sia abbastanza per un paio di commenti, non certo benevoli:
1) Non è vero che sono state le politiche promosse dal governo Renzi a portare l’Italia fuori della crisi. Una piccola ripresa economica, in effetti, c’è, ma non è sicuramente merito dei provvedimenti varati da Renzi (mi riferisco soprattutto al cosiddetto job act, che ha ridotto i diritti dei lavoratori e ha sostanzialmente regalato diversi miliardi agli imprenditori): la ripresa infatti investe in varia misura tutta l’Europa, ma è proprio l’Italia ad essere il fanalino di coda. Questo significa che il nostro Paese subisce l’“effetto di trascinamento” della crescita di altri paesi europei, in primo luogo quella della Germania, senza aver dato alcun contributo alla ripresa generale. Infatti, la disoccupazione italiana è, sì, diminuita, ma sono diminuiti nello stesso tempo anche gli occupati a tempo indeterminato (quelli che sarebbero dovuti aumentare per effetto delle misure di Renzi), sono invece cresciuti i lavoratori precari; mentre la disoccupazione giovanile rimane una delle più alte d’Europa: anche quest’anno circa 50.000 giovani hanno lasciato l’Italia per andare a cercare lavoro all’estero.
2) Renzi vuole ancora lavorare “per il bene dell’Italia, ma senza rinunciare alle sue idee”. Be’, se le sue idee sono quelle che abbiamo visto all’opera nel precedente governo, ne facciamo volentieri a meno. Ai cittadini non serve un capo politico che faccia regali al grande capitale, dando pochi spiccioli al resto della popolazione; non vogliamo uno che, con atteggiamento da sbruffone, ci bombardi quotidianamente con la sua propaganda, che cerchi di imporre le sue idee con vere e proprie “forzature”, mostrandosi, per giunta, alieno a qualsiasi obiezione o critica.
Ciò che i cittadini vorrebbero veder uscire dalle prossime elezioni è la possibilità di dar vita a un governo che, una volta tanto, agisca nel loro interesse, senza sotterfugi, senza piegarsi alle richieste delle lobby, guardando un pochino più in là della prospettiva immediata di raccogliere consensi.
Questo vuol dire, in primo luogo, porre in essere una seria politica di redistribuzione della ricchezza: dalle classi più abbienti verso quelle più povere, ottenendo così il duplice risultato di ridurre l’ingiustizia sociale e di rilanciare i consumi.
Poi, ovviamente c’è il problema del lavoro. Per cominciare davvero a risolverlo è necessario creare occupazione. Non quella “drogata” da incentivi quando il lavoro non c’è, ma l’occupazione vera che può venire soltanto da un corposo programma di investimenti pubblici: crescono i posti di lavoro disponibili, le famiglie hanno più soldi da spendere, aumentano i consumi e con essi la domanda di beni da produrre...
In quanto alla riduzione delle tasse, di cui tanto si parla, se l’intenzione è quella di attuarla a spese di una crescita del debito pubblico, meglio lasciar perdere. Perché invece non recuperare parte dell’evasione, che ha raggiunto dimensioni mostruose, in modo da “pagare tutti per pagare meno”?
Sono tre idee di semplice buon senso (altre se ne potrebbero proporre), ma che richiedono coraggio per essere attuate. Richiedono quella spinta verso il nuovo di cui Renzi ha parlato spesso, mentre continuava però a muoversi nella vecchia maniera delle politiche tipicamente di destra.