Il 'disco rotto' di Matteo Renzi

Nell’ultima Direzione del PD, Matteo Renzi ha riaffermato il proprio pensiero: “Su tutto si può discutere, ma non rinnegare la cose già fatte”. Facendo capire con questo che la sua linea politica rimane essenzialmente quella seguita dal suo ultimo governo.
Peccato che gli elettori abbiano già sonoramente bocciato questa linea in occasione del referendum istituzionale dello scorso anno, voluto fortemente dallo stesso Renzi. Poiché, come hanno concordato quasi tutti i commentatori politici, solo una ristretta percentuale di cittadini aveva chiari i contenuti del referendum vero e proprio: il voto da essi dato era per lo più rivolto alla politica fallimentare di Renzi. Ora questo signore, con una gran faccia tosta, ha il coraggio di riproporci, pari pari, le sue ricette!
Facciano attenzione i cortigiani renziani e, soprattutto, i critici collocati alla sinistra del PD: bisogna cambiare registro, ma cambiare veramente, se non si vuole che alle prossime elezioni il governo del Paese torni nuovamente nelle mani della destra. Si tratta di una grave responsabilità che pesa su tutte le forze di sinistra, e che dovrebbe fare passare in secondo piano i vari personalismi (che creano un clima di perenne litigiosità), vero cancro che avvelena buona parte della politica italiana.
Quel che occorre è riunirsi attorno a un programma, i cui punti essenziali, secondo me (so di ripetermi) dovrebbero essere:
1) Sostanzioso intervento di riequilibrio della ricchezza a favore delle classi più povere, compiuto lungo due direttive principali: lotta senza quartiere all’evasione fiscale e sgravi alle famiglie meno abbienti. Non possiamo aspettarci che una simile misura venga presa da Berlusconi (o da un suo sostituto) o da Salvini, i quali, con le loro misure, tenderebbero piuttosto ad accrescere ulteriormente il divario esistente tra ricchi e poveri.
Lo dicono da anni gli economisti più prestigiosi: l’aumento del dislivello tra chi ha molto e chi non ha quasi niente ha effetti dannosi sulla crescita economica.
2) Invece di dare fiumi di denaro agli imprenditori sotto forma di sgravi finalizzati a nuove assunzioni, si utilizzino quei soldi per varare un programma di lavori pubblici di largo respiro (questo, sì, che sarebbe in grado di rilanciare l’occupazione).
3) Tagliare le spese della politica (in primo luogo ridurre drasticamente il numero delle miriade di società che ruotano attorno agli enti locali) per disporre di risorse con cui incentivare la ricerca e l’innovazione, veri motori per la ripresa di un paese moderno.
4) Considerare seriamente l’opportunità di dare finalmente uno stop a programmi costosissimi (e sostanzialmente privi di ritorni per i cittadini) come la TAV e l’acquisto dei bombardieri F35 (ancora in fase di realizzazione), in modo da disporre di ulteriori risorse con cui finanziare le misure descritte nei tre punti precedenti.
5) Dare inizio a un programma pluriennale di semplificazione amministrativa, la quale, per essere efficace, non va calata dall’alto da un giorno all’altro, ma deve essere il risultato di un lungo e capillare lavoro svolto in collaborazione col personale delle direzioni interessate. La burocrazia soffoca le aziende italiane in una morsa che equivale a miliardi di spesa aggiuntiva; sarebbe ora, dopo tante chiacchiere, di ridurla in maniera consistente.
6) Tutto ciò deve avere però come punto di partenza una seria riflessione su come vogliamo che sia l’Italia di domani. Solo con una chiara visione di dove si vuole andare, gli interventi posti in atto potranno essere coerenti tra loro e dare il massimo dei risultati.
Purtroppo, questo è un argomento che interessa pochissimo alla classe politica, perché non fa guadagnare consensi e comunque può dare risultati visibili soltanto in tempi medio-lunghi. E ai politici, si sa, importa soprattutto (se non soltanto) la visibilità immediata.